La ricetta del successo passa per il coordinamento e un’adeguata comunicazione. «Perché mai come adesso le filiere del cibo e del vino possono agire da volàno per l’attrattività turistica del nostro Paese con un impatto economico positivo anche per l’industria agroalimentare». Parola di Madga Antonioli, direttore del corso di laurea magistrale “Acme”(arte, cultura e management di eventi) dell’Università Bocconi di Milano ed esperta di economia del turismo. «Per farlo – spiega – serve un gioco di squadra e bisogna saper comunicare bene la qualità e la specificità». Anche guardando al di là dei confini nazionali, soprattutto in Francia.
Che cosa possiamo imparare dai “cugini francesi”?
In Francia hanno saputo creare un tandem tra pubblico e privato nella gestione del turismo che si è rivelato efficace, con il coinvolgimento della grande industria alimentare. La loro strategia si fonda in buona parte sul concetto di spettacolarizzazione dell’esperienza del gusto: ogni momento legato allavendemmia o al raccolto della materia prima diventa una sorta di rito, in grado di attirare turisti sempre più consapevoli. Un esempio interessante è poi Sopexa, l’agenzia di marketing specializzata in food&drink che assiste e accompagna le promozioni turistiche del Paese.
Quali ingredienti non dovrebbero mancare nella ricetta italiana per aumentare l’attrattività attraverso la filiera alimentare?
Innanzitutto i prodotti tipici devono essere un “brand” facilmente identificabile e agire da “locomotiva”, abbinati a un’accoglienza di qualità sul territorio. Per farlo occorre puntare anche sulle forme di intermediazione online. Un’ altra chiave di successo è il potenziamento degli itinerari come strumento in cui il turista si posiziona con scelte ritagliate su misura per mettere in atto l’esperienza, grazie al contatto con i prodotti e i produttori. Infine, seguendo il modello francese, è essenziale organizzare eventi non banali, ma idonei a creare momenti celebrativi, di incontro e di promozione turistica e enogastronomica. Queste misure consentono di valorizzare una tendenza che ha un impatto economico significativo: si stima infatti che in media le spese per food and beverage rappresentino circa il 25% del budget di ogni turista. A questo bisogna aggiungere l’effetto di ritorno per l’industria agroalimentare.
Oltre al coinvolgimento dei territori a livello nazionale che cosa si può fare?
Premesso che la promozione del turismo è una competenza regionale, a livello nazionale il coordinamento dell’intera filiera con le industrie interessate e con le strutture ricettive da parte del sistema Paese può fare la differenza, con una strategia di promozione del turismo in abbinamento al made in Italy. È importante, inoltre, la collaborazione di tutti gli attori coinvolti.
Cibo e vino sembrano diventati un nuovo baricentro in grado di catalizzare l’attenzione dei big del lusso. Dall’acquisizione di Cova da parte di Lvmh all’apertura dei caffè da parte dei grandi marchi. Come va interpretata questa tendenza?
Conferma l’evoluzione del concetto del lusso degli ultimi anni, sempre più associato al benessere e a forme di esperienze nel settore alimentare e nel turismo. I consumatori, sempre più consapevoli, sono continuamente alla ricerca di trasparenza, qualità, attenzione all’origine e al rispetto dell’ambiente. Tutti aspetti che la strategia di promozione del territorio non può ignorare.
Fonte: Il Sole 24 Ore