Un business in grande crescita ma ancora per pochi. È il settore dei prodotti agroalimentari di qualità DOP e IGP, segmento nel quale l’Italia riveste in Europa un ruolo guida non solo per numero di riconoscimenti ottenuti (esclusi i vini sono 299 i prodotti alimentari tutelati in Italia sugli 822 protetti nella Ue) ma, soprattutto, per la capacità di farne un vero traino per l’economia e i territori. I marchi DOP e IGP made in Italy, che ai tempi della loro istituzione nel 1992 erano considerati una nicchia di mercato, oggi sviluppano un fatturato all’origine di circa 7 miliardi di euro che diventano oltre 14,7 al consumo e un giro d’affari all’estero di 3,5 miliardi. Dal 2008 a oggi, il fatturato alla produzione è aumentato del 46%, quello al consumo del 63%, ma il vero e proprio boom è stato quello delle esportazioni più che triplicate.
Il comparto sconta però ancora un limite di fondo: a fronte di un numero elevato di riconoscimenti solo pochi brand sono davvero in grado di svolgere un ruolo di mercato. Basti pensare che i primi 15 marchi (dal Parmigiano reggiano DOP al Pecorino romano DOP, dalla Mortadella Bologna IGP alla Mela della Val di Non DOP) realizzano l’88% del fatturato al consumo e addirittura il 95% dell’export. Agli altri 284 insomma poco più che le briciole. Va poi rilevato che una fetta rilevante dello sviluppo degli ultimi anni è dipesa da un aspetto in particolare: DOP e IGP che agli albori erano viste come una leva a disposizione di piccoli produttori agricoli e artigianali, quasi in contrapposizione con le industrie alimentari, hanno messo davvero le ali quando sono state adottate dall’anello industriale della filiera. «Oggi in particolare in settori come la pasta o l’aceto – spiega Mauro Rosati, direttore della Fondazione Qualivita – che il prossimo 12 dicembre a Roma presenterà insieme a Treccani l’Atlante 2020 dei prodotti DOP e IGP – molte imprese che in passato andavano sul mercato solo con i brand aziendali hanno sposato la Pasta di Gragnano IGP e l’Aceto Balsamico di Modena IGP dando un importante contributo allo sviluppo di queste denominazioni». «Ancora più eloquente – aggiunge il presidente di Origin Italia (l’associazione che riunisce 66 consorzi di tutela dei prodotti DOP e IGP), Cesare Baldrighi – è la recente decisione di una multinazionale come Coca Cola di mettere in commercio una Fanta all’Arancia rossa di Sicilia IGP. Una frontiera inimmaginabile fino a pochi anni fa».
«L’altro elemento significativo emerso in questi anni – aggiunge Baldrighi – è la grande curiosità che i prodotti DOP e IGP sono riusciti a suscitare nei consumatori stranieri con importanti ricadute sui territori d’origine». Certo resta il nodo della tutela internazionale che al di fuori dei confini Ue vede DOP e IGP esposte a falsi e contraffazioni. «Ma va anche rilevato che con gli accordi internazionali si stanno compiendo passi in avanti – aggiunge Baldrighi -. Troppo spesso riguardo ai negoziati con i paesi esteri ci si concentra solo sulle liste più o meno ampie di prodotti tutelati dagli accordi, dal Ceta col Canada all’Epa col Giappone solo per citarne alcuni. Mentre si sottovaluta che quegli accordi da un lato contengono semplificazioni burocratiche e tagli tariffari non meno importanti della tutela dei marchi DOP mentre, dall’altro, hanno fatto nascere in paesi lontani una prima disciplina sulle denominazioni d’origine e anche questo rappresenta un enorme passo avanti rispetto anche a pochi anni fa».
Fonte: Il Sole 24 Ore