Danni “incalcolabili”, rischi “chiusure” per le perdite e i mancati guadagni ma anche serrate volontarie per l`impossibilità di far rispettare l`obbligo di distanza di 1 metro ai clienti. Bar e ristoranti delle zone “chiuse” dal decreto notturno del governo fanno i conti con una serie di nuove, pesanti limitazioni stabilite dal governo nel decreto notturno contro il coronavirus, a partire dall`orario 6 -18 e al divieto, non assoluto, alla mobilità dei cittadini, se non per recarsi al proprio lavoro o tornare a casa. Gli esercizi commerciali erano già in realtà semi vuoti e basta un giro nelle città e nei paesi per rendersene conto anche se hanno fatto scalpore le immagini della movida serale di Milano e altre località, con i clienti assiepati l`uno vicino all`altro. Ora il provvedimento, cui si aggiunge la scomparsa dei turisti nelle città d`arte e nelle località sciistiche, dà una ulteriore stretta e mette una serie ipoteca anche sulle vacanze pasquali.
La Confesercenti rinuncia al calcolo delle perdite che il giorno prima del decreto mostrava già un conto di otto miliardi di euro di Pii nel semestre e 6,5 miliardi di consumi e parla appunto di danni incalcolabili. «Decine di migliaia di attività del turismo, ma anche di negozi, bar, ristoranti e non solo, che sono o stanno per entrare in crisi, dovremo garantire a queste attività la sopravvivenza», avvisa. E la Pipe-Confcommercio lamenta di ricevere “centinaia di telefonate e appelli che chiedono la chiusura temporanea delle attività di pubblico esercizio, nella comprensibile preoccupazione per la salute di clienti, dei propri dipendenti e delle relative famiglie, come reazione alla difficoltà di gestione delle attuali disposizioni e nella speranza che questo sacrificio possa almeno servire ad accelerare il ripristino della normalità”.
Il mancato rispetto dell`obbligo di l metro infatti può portare sanzioni e la chiusura del locale. “Le perdite – rileva – stanno mettendo in ginocchio intere categorie” di un settore che riunisce 300mila imprese e un milione di lavoratori. Le associazioni chiedono così misure urgenti nel prossimo decreto “economico” contro il coronavirus in arrivo questa settimana. “Vanno estese le misure previste per le zone chiuse a tutto il territorio nazionale, aprire la cassa in deroga per almeno 6 mesi a tutte le imprese di tutte le Regioni, far slittare tutte le scadenze fiscali a fine anno, fermare gli sfratti per morosità”. Infine anche “individuare un meccanismo di credito di imposta che sostenga, almeno parzialmente, le perdite documentabili delle imprese”. Misure in parte già accolte dall`esecutivo e che si dovrebbero aggiungere alla moratoria sui crediti firmata da Abi e imprese.
Le associazioni chiedono con forza misure urgenti nel prossimo decreto “economico”. Coinvolto un terzo del made in Italy. Secondo dati Coldiretti, nelle aree interessate dal nuovo decreto sul coronavirus si produce un terzo del made in Italy agroalimentare italiano. L`imperativo, per garantire la continuità delle produzioni, è salvaguardare la mobilità di merci e persone, nel rispetto delle norme di sicurezza. Davanti al rischio di dover chiudere una piccola azienda e mandare a monte attività per persone contagiate, che devono dunque rispettare una quarantena, ci si attrezza. Un esempio è quello del Consorzio della DOP del Parmigiano Reggiano. Per gestire ogni eventualità, si sta creando una banca dati di pensionati, ex casari, manovali da cui “pescare” in caso di carenza di organico nei caseifici. Una forma di solidarietà dei singoli per la sopravvivenza collettiva.
Fonte: Gazzetta del Sud