Lo spopolamento dei borghi il mancato utilizzo delle risorse forestali, un’agricoltura che non sa più valorizzare le sue storiche produzioni. La crisi delle aree interne, soprattutto sull’Appennino, sta cambiando la geografia umana del Paese, nonostante alcuni segnali in controtendenza.
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Su 1,3 milioni di imprese agricole che hanno cessato la propria attività 3 su 4 si trovavano in zone collinari e montane: sono 936 mila quelle «morte». Negli ultimi dieci anni 330 mila giovani laureati tra i 25 e i 39 anni si sono spostati verso le zone urbane, nello stesso periodo 550 mila giovani sono andati all’estero, metà sono laureati. È un’emorragia di risorse impressionante che va declinata con un altro numero: sono seimila i paesi abbandonati nelle aree interne dove si trova quasi la metà (48 per cento) dei nostri Comuni dove vivono ancora 13,6 milioni di italiani.
Secondo i dati più aggiornati, nel 2023 in 358 borghi non si è registrato alcun nato. Negli ultimi dieci anni, poi, nelle aree interne lo spopolamento è cresciuto a una velocità doppia (-5 per cento) rispetto alla media (-2 per cento) creando un gravissimo squilibrio visto che da quelle zone viene gran parte del prodotto agricolo che nutre l’Italia (basti pensare che nove prodotti DOP su 10 si fanno in comuni al di sotto dei cinquemila abitanti e che la Dop economy vale ormai oltre 20 miliardi di euro di cui quasi dieci fatti all’estero, NDR fonte Rapporto Ismea Qualivita) .
L’agricoltura delle aree interne vale il 56 per cento del totale: in pratica ogni abitante «vale» un ettaro di terreno coltivato. Ma è un ettaro che rende sempre meno. Nonostante le nostre coltivazioni siano seconde in Europa per valore aggiunto, proprio la marginalizzazione delle aree collinari-montane ha inciso sulla crescita. Uno studio di Nomisma in occasione dell’assemblea della Confederazione agricoltori italiani – il presidente Cristiano Fini è il più attivo a pretendere il rilancio della piccola agricoltura di montagna – evidenzia come il valore agricolo italiano sia cresciuto di solo il 2,4 per cento negli ultimi cinque anni mentre la media europea è del 4,1 e Spagna e Germania (hanno però molta coltivazione estensiva poco replicabile in Italia vista la nostra orografia) sono salite del 4,5 per cento.
L’antidoto? Si chiama «restanza» termine coniato dall’antropologo Vito Teti e diventato un bestseller per Einaudi. Il concetto è che al diritto a migrare – quello invocato da tutti, papa compreso, che fa tanto politicamente corretto – corrisponde il diritto a restare costruendo un altro senso dei luoghi e di sé medesimi. È un continuo aggiornamento della tradizione. Per farlo servono però strumenti adeguati.
Il primo è la Pac, la Politica agricola comune che va cambiata. Ci sta lavorando il ministro del settore Francesco Lollobrigida, lo chiede a gran voce Ettore Prandini presidente di Coldiretti. Significa garantire risorse a chi coltiva sul serio e mettere insieme i fondi per lo sviluppo rurale con i contributi per le coltivazioni.
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Fonte: Panorama