I consumi di vino senza alcol crescono e mentre i produttori esteri si preparano l’Italia affronta questioni normative
È la condizione dei produttori italiani divino decisi a cimentarsi con la nuova frontiera dei vini senza alcol o a bassa gradazione alcolica.
Un segmento di mercato in grande ascesa soprattutto all`estero. Secondo i dati dell`Osservatorio Uiv su base Nielsen-Iq, in controtendenza rispetto al vino convenzionale, i vini dealcolati hanno chiuso il semestre nel retail di Usa, Regno Unito e Germania con un valore complessivo di 79 milioni di euro (+16%). Con un incremento negli Usa (che rappresentano il 50% della domanda totale) del 35%.
Un segmento sul quale l’Italia gioca un ruolo residuale mentre gli altri competitors, Francia e Spagna in primis, si sono lanciati con tempestività e decisione. È notizia dei giorni scorsi che il polo del lusso francese Lvmh che detiene brand dello Champagne quali Moet Chandon, Dom Perignon, Krug e Veuve Clicquot ha siglato una partnership con French Bloom etichetta che si è affermata nella produzione di spumanti analcolici di pregio, con una produzione di mezzo milione di bottiglie vendute a prezzi anche superiori ai 1oo dollari.
In Italia invece tutto è in alto mare, o peggio, avvolto nelle nebbie dell’incertezza anche perché il tavolo di filiera sulla produzione divini dealcolati ancora non si è riunito una volta.
Due in particolare i nodi da sciogliere: da un lato, il vincolo previsto dal Testo Unico del Vino del 2016 inbase al quale una bevanda può chiamarsi “vino” se presenta un titolo alcolometrico minimo di 8,5 gradi.
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Dall`altro, il secondo elemento di incertezza: in una bozza di decreto del Masaf circolata prima dell’estate era previsto l’obbligo di effettuare le operazioni di dealcolazione esclusivamente in distillerie autorizzate. Un vincolo stringente soprattutto se confrontato con la totale libertà di manovra prevista in Francia e in Spagna.
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Fonte: Il Sole 24 Ore