Gemellaggio con il Timorasso e open day sono le strategie per incrementare gli affari sul mercato interno. Il presidente del Consorzio Gavi DOP Montobbio: “Spesso si preferisce la vendita diretta o l’estero perché l’Horeca italiana è considerata un cattivo pagatore”.
Non è facile per un distretto abituato a vendere ben oltre nove bottiglie su dieci (92 per cento) all’estero invertire o cambiare rotta e puntare sull’Italia, che tra l’altro non è attualmente una piazza che sta consumando grandi quantità di vino. Ma il Consorzio del Gavi Docg, bianco piemontese dalle caratteristiche che ben si adattano a un consumo moderato, giovanile e di qualità, ci vuole provare. Mentre nelle colline dell’Alessandrino la vendemmia è in corso, dopo una primavera che ha costretto i viticoltori a fare davvero gli straordinari per salvare l’annata (stimata in lieve calo sul 2023 ma con grappoli sani), il consiglio di amministrazione dell’ente di tutela presieduto da Maurizio Montobbio sta mettendo sul tavolo del confronto tra i produttori alcune nuove strategie sul medio-lungo periodo, come l’opportunità di lavorare meglio sul mercato interno, soprattutto nel canale della ristorazione, in particolar modo quella locale con cui il rapporto appare ancora complicato.
Mercato del Gavi “sbilanciato” sull’estero
Da molti anni, la denominazione piemontese, che oggi conta ben 14 milioni di bottiglie su oltre 1.500 ettari, per un giro d’affari di 70 milioni di euro, ha avuto nei mercati internazionali il principale sbocco. I numeri sono chiari: Inghilterra 62%, Stati Uniti 13%, Germania 6%, Russia 4% sono i primi acquirenti di questa Docg venduta in oltre cento Paesi. Considerando i canali di commercializzazione, il Gavi oggi è venduto prevalentemente in grande distribuzione (per circa un 52%, secondo stime consortili) seguita dal mondo Horeca (48%). L’Italia vale circa un milione di bottiglie (8% del totale), vendute al Nord per l’88% (di cui 42% in Piemonte e 46% altre regioni) e per il rimanente 12 per cento tra Centro e Sud Italia. Questi numeri, come spiega il presidente Montobbio al settimanale Tre Bicchieri, possono rappresentare un vulnus, nella misura in cui il mercato appare troppo sbilanciato sull’estero e su un cliente specifico, il Regno Unito. «Siamo complessivamente soddisfatti dei risultati sui mercati esteri ma stiamo anche ragionando su come recuperare una maggiore presenza in Italia», afferma il presidente che, tuttavia, ammette lo scetticismo di molti colleghi produttori e associati al Consorzio, generato dal fatto che l’Horeca italiana è considerata un cattivo pagatore, rispetto a quando accade sui mercati internazionali. Circostanza che fa preferire i rapporti con clienti oltre confine e limita il rapporto con l’Italia (se si escludono alcuni grandi imbottigliatori) quasi esclusivamente alla vendita diretta.
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Fonte: GamberoRosso.it