Chi aveva sempre creduto nel Sangiovese non poteva non provare un’attrazione quasi fatale per il territorio di Montalcino, che di quel vitigno principe di Toscana vinificato in purezza è sempre stato l’interprete per eccellenza. Così anche Enzo Morganti, lungimirante direttore generale dell’Agricola San Felice in Chianti Classico, si fece contagiare dal Sangiovese Grosso ilcinese.
L’enorme fattoria di San Felice, di oltre 600 ettari complessivi, dal Settecento era proprietà dei marchesi Grisaldi del Taja, schiatta d’origine senese che, intuendone il gran potenziale enoico, investì in vigneti, partecipando alla fondazione del Consorzio del Chianti Classico nel 1924. L’azienda per secoli era stata la classica espressione dell`economia mezzadrile toscana e dei suoi modelli produttivi che, anche all’indomani del Dopoguerra, non erano stati contagiati dai venti di modernità, cadendo in una situazione di crisi senza ritorno, dovuta allo spopolamento delle campagne. Così nel 1968 la proprietà venne ceduta a una società industriale milanese poi nel 1978 passò alla Ras (Riunione Adriatica di Sicurtà), successivamente acquisita dal Gruppo Allianz, uno dei più importanti gruppi assicurativo finanziari al mondo, che ha sempre sostenuto la politica imprenditoriale di San Felice, la sua crescita e il suo sviluppo.
La guida dell’intera struttura fu affidata da subito a Enzo Morganti, fattore illuminato e l’innovazione arrivò in un sol botto: il passaggio dagli antichi schemi a quelli di una moderna impresa agricola fu immediato. Fin da subito fu evidente che la strada che si voleva intraprendere era quella di unire alla profonda identità territoriale un’impostazione lungimirante, dato distintivo che ha sempre reso l’azienda unica nel suo genere.
Così Enzo Morganti fu uno dei primi in assoluto a comprendere che era necessario oltrepassare i propri confini storici e “conquistare” altri territori di gran vocazione viticola: “Negli anni Ottanta nella zona di Montalcino il vino era certamente di ottima qualità, ma per essere onesti era praticamente sconosciuto – ricorda l’enologo Leonardo Bellcaccini – in forza all’Agricola San Felice dal 1984 – c’erano quattro grandi marchi storici, ma per tutte le altre realtà parlerei di fattorie, allora chiamarle cantine era prematuro. Nonostante tutto ciò, il mio mentore Morganti intravide in questa terra quel potenziale qualitativo che poi si è rivelato un decennio dopo, negli anni Novanta. L’occasione d’acquisto originò perché Morganti conosceva il proprietario di questa azienda di Montalcino, il signor Giovannelli di Prato, che era anche uno dei proprietari del Castello di Bossi, confinante con San Felice. La prima vendemmia ufficiale di San Felice a Campogiovanni, che allora era una zona davvero un po` isolata, la portai avanti io nel 1984, quegli anni furono la mia vera e propria palestra nel mondo del Brunello, facevo davvero di tutto. Le prime vinificazioni furono all`esterno in un piazzale cementato con delle vasche di ferro smaltato, salendoci sopra con una scala di legno non motro salda, insieme al contadino Fernando Giannetti, che con la moglie Franca abitavano, in qualità di casieri, a Campogiovanni”.
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Campogiovanni nel 2022 ha ottenuto anche la certificazione Equalitas, che nasce da un`iniziativa di Federdoc e Unione Italiana Vini con la collaborazione di CSQA Certificazioni, Valoritalia, 3Avino e Gambero Rosso per promuovere la sostenibilità nell`ambito della filiera agroalimentare del vino attraverso un approccio che chiama a raccolta le migliori iniziative di best practices, consolidate e innovative, creando un modello italiano di qualità sostenibile riconosciuto a livello mondiale, basato su tre pilastri fondamentali: ambientale, sociale ed economico. E le aziende che lo adottano, come Campogiovanni appunto, diffondono un marchio collettivo di garanzia per il consumatore.
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Fonte: Oinos