Le Indicazioni Geografiche rispondono ad alcune dimensioni dello sviluppo sostenibile, tuttavia non sono state pensate per questo. A fronte della Riforma DOP IGP, questa analisi mira a valutare l’idoneità del sistema IG nel valorizzare le risorse genetiche delle produzioni zootecniche
Sin dai primi documenti di policy adottati dall’Unione Europea a presidio della biodiversità animale in agricoltura, la disciplina delle Indicazioni Geografiche qualificate è stata inclusa tra le forme di tutela indiretta delle razze autoctone, perché in grado di favorire la conservazione del pool genico di specie domestiche agresti. La riflessione giuridica in materia, tuttavia, non ha mancato di sollevare perplessità in merito al riconoscimento di un legame effettivo tra “segni” del territorio, diversità genetica e prodotti alimentari di qualità.
Se, per un verso – si è osservato – l’appartenenza dei “marchi” geografici a una collettività territoriale che li crea e li modella risponde ad alcune dimensioni dello sviluppo sostenibile, per un altro profilo – si è argomentato – i regimi di produzione DOP e IGP non sono stati pensati e costruiti per rispondere specificamente a criteri di sostenibilità. Il quesito che ne consegue, e a cui questa breve analisi s’indirizza, concerne l’idoneità o meno delle indicazioni di qualità territoriale a valorizzare le risorse genetiche proprie delle produzioni zootecniche dalle connotazioni tradizionali, a fronte della Riforma legislativa sulle DOP e IGP in fieri nel contesto istituzionale europeo.
Luca Leone è Professore associato di Diritto agrario e alimentare presso il Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e agro-ambientali dell’Università di Pisa. I suoi principali interessi di ricerca riguardano il rapporto tra scienza e diritto agroalimentare, i modelli di regolazione delle tecnologie emergenti, con riferimento agli aspetti etico-giuridici e sociali, la tutela della biodiversità e del benessere animale in agricoltura.
Domenico Cristallo è dottorando di ricerca presso la scuola di dottorato “Agrisystem” dell’Università Cattolica di Piacenza, e si occupa di diritto agroalimentare e dei mercati agroalimentari. È, inoltre, consulente legale di imprese agricole e alimentari.
La biodiversità animale nella disciplina sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari
Nel testo del reg. (UE) 1151/2012 sui regimi di qualità, il termine “biodiversità” non è utilizzato, al pari delle espressioni “risorse genetiche” e “diversità genetica”. Un’attenzione specifica è rivolta unicamente alla registrazione e all’uso dei nomi delle razze animali di cui agli artt. 6 e 42 del regolamento. È riscontrabile, invece, una forma di tutela indiretta della diversità genetica nella protezione accordata all’indicazione facoltativa di qualità “prodotto di montagna” (44° considerando e art. 31 del reg. 1151/2012), con riferimento ai prodotti destinati al consumo umano di cui all’allegato I del TFUE, le cui materie prime provengono essenzialmente da zone di montagna.
Nel 2022, la proposta di Riforma del sistema delle IG, presentata dalla Commissione Europea a beneficio delle economie rurali in tutta l’Unione, ha aggiunto un importante tassello in materia, riconoscendo alle associazioni di produttori la possibilità di concordare specifici impegni di sostenibilità da rispettare nella produzione a Indicazione Geografica. L’art. 12 del testo regolamentare attribuisce a tali impegni, che figurano nel disciplinare di produzione, “lo scopo di applicare una norma di sostenibilità più rigorosa di quella prescritta dal diritto dell’Unione o nazionale e, per molti aspetti, di andare oltre le buone pratiche in termini di impegni sociali, ambientali o economici”.
Degno di nota – benché non approvato dal Parlamento Europeo – è anche il potere, conferito alla Commissione, di adottare atti delegati che definiscono le norme di sostenibilità a cui i produttori possono aderire, per un “dialogo normativo” tra regole pubbliche e autonomia privata. Questo rinnovato ruolo dei produttori, sancito tra gli obiettivi ex art. 4 della proposta di regolamento, emerge anche dall’art. 32 del testo riformato, che attribuisce agli Stati membri la possibilità di prevedere la partecipazione ai lavori dell’associazione di produttori anche di funzionari pubblici e di altri portatori di interessi (come gruppi di consumatori, dettaglianti e fornitori).
Questa disposizione (non riproposta, però, nel testo del Parlamento) riflette l’intento dell’organo di Bruxelles di promuovere il dialogo e la cooperazione tra più soggetti, stante la pluralità di interessi coinvolti e la duplice natura dei segni distintivi, che operano come strumenti di mercato e di tutela del territorio per un legame di fiducia tra produttori e cittadini.
Di rilievo è, altresì, il riferimento alla biodiversità che l’art. 48(5) della proposta include nell’ambito delle «altre caratteristiche» attribuibili alla IGP di un prodotto agricolo, perché emblematica, di fatto, del riconoscimento di una connessione tra risorse genetiche animali, territorio e prodotto che possa estrinsecarsi in un segno/attestazione di qualità.
Da ultimo, l’art. 12bis approvato dal Parlamento Europeo il 1° giugno 2023 prevede in capo alle associazioni di produttori la possibilità di redigere «una relazione sulla sostenibilità basata sulle attività di audit interno recante una descrizione delle pratiche sostenibili esistenti utilizzate nella produzione del prodotto, dell’impatto del metodo di ottenimento del prodotto sulla sostenibilità in termini di impegni sociali, ambientali, economici o di salute e benessere degli animali, nonché le informazioni necessarie per comprendere in che modo la sostenibilità incide sullo sviluppo, sulle prestazioni e sulla posizione del prodotto» (Emendamento 83).
Dall’insieme di queste disposizioni, cui si aggiungono le modifiche che, in attesa della Riforma delle DOP e delle IGP, il reg. (UE) 2021/2117 sulla PAC 2023-2027 ha apportato al reg. (UE) 1151/2011 e al reg. (UE) 1308/2013 con riferimento alla sostenibilità di queste produzioni (artt. 1 e 2), può evincersi una embrionale forma di supporto, sul piano giuridico, alla diversità genetica di interesse agrario, quale parte integrante della specificità dei prodotti locali e del rapporto con la comunità e la cultura di uno specifico territorio.
Prospettive di tutela
L’annotazione per la quale il legame indissolubile con il territorio di origine esige la salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità è un leitmotiv che ricorre frequentemente nei documenti di policy europei, in special modo laddove si rimarca il contributo che le IG possono fornire alla conservazione/valorizzazione delle risorse genetiche. Va da sé che l’azione di sostegno debba essere affiancata alle attività di registrazione degli animali all’interno dei libri genealogici, al fine di garantire il monitoraggio dei trend della popolazione e il controllo della consanguineità; peraltro, correlare le produzioni tipiche ai libri genealogici appare essere anche la via percorribile per rafforzare le produzioni certificate.
Da non trascurare, tuttavia, è il problema inerente alla individuazione e all’utilizzo degli indicatori di sostenibilità nel settore dei regimi di qualità. La reputazione di alcuni prodotti DOP e IGP può comportare, invero, una perdita di biodiversità a causa dell’apertura del mercato di riferimento che, incidendo sulle dinamiche di produzione, si risolve sovente in una trasformazione del territorio potenzialmente dannosa per la diversità genetica. Allo stesso modo, il legame di una IG con una razza specifica o con una risorsa genetica rara come risposta alle richieste del mercato può finire col marginalizzare risorse genetiche biologicamente e culturalmente rilevanti, incentivando così la perdita di biodiversità.
Se da riconoscere è, invece, la potenzialità dei disciplinari di produzione di preservare la biodiversità, perché legati a produzioni tradizionali spesso risalenti nel tempo, non può escludersi che le modifiche spesso apportate al disciplinare per esigenze produttive con riferimento alle razze animali utilizzate si frappongano alla tutela delle risorse genetiche autoctone che hanno concorso al riconoscimento della certificazione.
Tali problematiche confermano la necessità che il dibattito istituzionale sia incentrato sull’esame dei criteri di produzione inclusi nei disciplinari, sul ruolo dei gruppi di produttori e sull’uso partecipativo (e creativo) delle conoscenze e delle pratiche tradizionali in agricoltura. Una discussione critica sul valore dei regimi di qualità per la sostenibilità – nella fase finale dei Triloghi – appare imprescindibile per un inquadramento giuridico capace di favorire produzioni zootecniche a presidio della biodiversità, in linea con gli obiettivi e i target sulla natura che la XV Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (COP 15) ha recentemente individuato.
A cura della redazione
Fonte: Consortium 2023_04