In 15 anni le nostre coltivazioni sono scese da 70 a 33 mila ettari, ma cresce il Lazio. Rispetto ai partner europei l’Italia può vantare il record di sei varietà protette.
Anche l’umile patata indossa abiti nuovi. Non per moda, ma per rispondere alle esigenze del tempo: parassiti sempre più aggressivi, lunghi periodi di siccità e improvvisi alluvioni, perdita di raccolto, costi di produzione maggiori.
Per il settore pataticolo italiano c’è anche l’imperativo di invertire il calo delle coltivazioni, passate dai 70 mila ettari di 15 anni fa ai 33.401 di adesso. La produzione di 1,4 milioni di tonnellate del 2022, copre soltanto il 70% del fabbisogno che è di 36,08 chili pro capite l’anno (per una spesa media a famiglia nel 2022 di poco più di 50 euro).
La campagna 22-23, ancora in corso, è disastrosa in tutta Europa per colpa dell’infestazione da elateridi, la larva che scava il prodotto rendendolo non commercializzabile.
Se a livello comunitario si stima il 15% in meno, in Italia la situazione più grave è in Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte dove il danno sui raccolti è pari al 30 -50%. In Friuli, Lazio e Sicilia l’emergenza si sta progressivamente acutizzando. Di conseguenza aumentano i prezzi: a inizio settimana in Emilia è stato fissato a 50 centesimi al chilo il prezzo minimo in campagna per le romagnole di prima qualità. Non era mai stato così alto. Solitamente in tutta Italia viaggia intorno ai 15-30 centesimi, tranne in Sicilia dove tocca anche i 70 centesimi e recentemente lungo la costa del Lazio (intorno ai 60).
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Fonte: Il Messaggero
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