Magagnoli: sull’agroalimentare stop ai sensazionalismi, si lavori sulle situazioni reali passate e presenti
L’agroalimentare e la cucina italiana sono diventati come il calcio. D`altra parte, anche la filiera che porta ciò che mangiamo dai campi alle tavole vale un sacco di soldi oltre che qualche milione di posti di lavoro. Di mezzo, poi, ci sono ormai l`onore patrio, le tradizioni a rischio e la difesa all`ultimo coltello (e forchetta) di un patrimonio (reale) che solo l`Italia possiede. A patto che tutto si faccia per bene. Perché l`agroalimentare e la cucina italiana appaiono davvero preda di schieramenti, partiti, fazioni e ultras. In ballo c`è un comparto che solo in termini cli esportazioni ha oltrepassato un valore di 60 miliardi e che, guardando a tutta la complessa filiera, vale oltre 500 miliardi di euro.
Un tesoro, dunque, che non può essere buttato all`aria dalle dichiarazioni facili. Così la pensano in molti, soprattutto in quelle aree dello Stivale dove l`agroalimentare ha fatto storia e ricchezza. È il caso cli Parma e del suo territorio (che detiene una quota di tutto rispetto proprio nell`ambito delle prelibatezze nazionali), da cui arriva un appello ad essere tutti più seri. Così almeno dice Stefano Magagnoli, ordinario cli Storia economica e di Storia dell`alimentazione nell`ateneo parmense, che affida ad Avvenire un messaggio: “In tema cli agroalimentare è arrivato il tempo di abbandonare i sensazionalismi e cli evitare l`enore cli decontestualizzare fatti e processi. La questione della cucina e dei prodotti tipici è molto complessa. C`è da tener conto del dato materiale delle ricette e delle tecniche colturali, ma anche di ciò che è legato all`heritage, ci sono le questioni delle identità e del marketing, gli aspetti culturali e storici. Non dimenticando peraltro l`uso politico della tradizione e dei gastronazionalismi. Senza dire delloro uso strumentale sempli- cemente per far accendere qualche riflettore su chi vuole apparire”.
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Fonte: Avvenire