Maria Chiara Zaganelli, durante il lockdown è stata nominata direttore generale dell’Ismea. Qui ragiona di agricoltura, clima e sfide per il nostro Paese
Non piove per mesi. Poi grandina. Torna la siccità, e quindi arrivano le trombe d’aria. Allora si accende l’aria condizionata quando non si respira, ci si tappa in casa se piovono sassi di ghiaccio. Quattro colonne in cronaca e si va avanti. Ma è la terra, quella coltivata che ne paga le conseguenze, quella stessa terra che va salvaguardata e su cui tanti stanno puntando.
«L’agricoltura è vittima del cambiamento climatico, è senza difese. La ripresa del Paese deve partire da qui». Maria Chiara Zaganelli parla mentre sui cieli di Roma cala una coltre nera che si trasforma in bomba d’acqua, ma quando ci salutiamo il sole si riaffaccia. «Alluvioni, gelo e siccità: sono questi i pericoli climatici che un Paese come l’Italia deve affrontare seriamente, vista l’importanza strategica dell’agricoltura». Già, perché i campi (da soli) sono poco più del 2% del Pil, ma da lì parte una delle maggiori filiere dell’economia nazionale che nel 2019, era preCovid, rappresentava il 15% del Pil.
Nonostante gli effetti della pandemia, ancora presenti, e della guerra, ancora tutti da scontare, l’agroalimentare nazionale ha portato per il secondo anno consecutivo il saldo della bilancia commerciale in attivo, con un export nel 2021 di 52 miliardi di euro. «Ma tutto inizia dal terreno, e poi alla fine arriva sullo scaffale, in Italia come nel mondo, perciò deve essere concepito come un’unica filiera». Zaganelli da poco meno di due anni è direttore generale dell’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare), ente pubblico economico nazionale, vigilato dal ministero delle Politiche agricole e, dalla sua poltrona di viale Liegi, gestisce un sistema integrato di servizi che va dall’analisi dei mercati agricoli, al credito, alla gestione del rischio in agricoltura fino all’assegnazione di terre, per favorire il ricambio generazionale, stimolare l’innovazione tecnologica, la competitività delle imprese e l’internazionalizzazione del made in Italy.
Uno snodo cruciale anche i fondi del Pnrr – quasi 7 miliardi circa per settore primario, tutto compreso – che possono davvero sterzare il mondo agricolo verso un futuro di maggiore sostenibilità economica, e non solo ambientale. Già, perché da sola l’agricoltura non ce la fa, ovunque nel mondo. Ma certamente può dirigersi verso nuove dinamiche.
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Fonte: Il Sole 24 Ore