Olio, negli ultimi 15 anni la produzione si è quasi dimezzata: ecco gli interventi per tutelare realmente la qualità DOP e IGP
Produzione quasi dimezzata in 15 anni. E non solo per colpa della Xylella. C’è un problema olio di oliva in Puglia. E anche in Italia, visto che nell’ultimo triennio (2019-2021) la quantità di olio pugliese è stata pari a circa il 3o% di quella nazionale (il dato regionale più elevato, seguito dalla Calabria e dalla Sicilia, 28 e 1396 rispettivamente). La produzione di olio in Puglia – come evidenziato dall’analisi regionale della Banca d’Italia – si è infatti ridotta del 43% circa dal biennio 2006-07 al biennio 2020-21, come in Italia, concentrandosi soprattutto nell’ultimo decennio (-38%, a fronte del -27 in Italia), soprattutto per effetto della dinamica registrata nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto che hanno risentito anche della crescente diffusione del batterio Xylella.
Ma il calo della produzione registrato negli ultimi quindici anni ha più cause: è riconducibile alla dinamica della produttività. In presenza di superfici coltivate rimaste sostanzialmente stabili, la produttività media olivicola si è ridotta di 9 quintali per ettaro, sia in Puglia sia in Italia. Sul calo hanno influito soprattutto gli effetti della riforma della Politica agricola comune (Pac) del 2°06.
«Il report della Banca d’Italia spiega Nicola Ruggiero, presidente di Oliveti d’Italia – fotografa in maniera impietosa la totale mancanza di politiche adeguate negli ultimi 15 anni per un settore che è strategico per il valore culturale, ambientale ed economico. Perdere il 40% degli operatori e della produzione generale significa perdere valore come sistema Italia, significa perdere il controllo e la gestione di gran parte del territorio collinare, su cui l`olivicoltura si era sviluppata, con i conseguenti disastri ambientali che di volta in volta si susseguono nel nostro Paese».
La produttività, comunque – come evidenzia l’analisi della Banca d’Italia – era già da decenni frenata da fattori di natura strutturale: la ridotta dimensione delle imprese, che ostacola investimenti in tecniche di produzione più efficienti; gli elevati costi di gestione degli oliveti (in particolare quelli per la raccolta e la molitura, per l’energia e i fertilizzanti), uniti al basso livello di remunerazione dei produttori.
In Puglia, poi, le aziende sono ulteriormente penalizzate, da un punto di vista strettamente produttivo, dalla diffusa presenza di ulivi monumentali: simbolo della cultura e del paesaggio pugliese che, però, condizionano l’efficienza della produzione. Secondo le elaborazioni della Banca d’Italia, inoltre, i prezzi dell’olio pugliese – misurati dal deflatore del valore della produzione – si collocano su livelli di molto inferiori al dato nazionale: nel 2020 sono risultati i più bassi d`Italia, pari a circa la metà della media nazionale; in particolare, sono un quinto di quelli di Toscana e Liguria, le regioni con i prezzi più elevati, e la metà di quelli della Calabria, seconda regione produttrice di olio. Tali divari, sostanzialmente invariati dal 2006 (primo anno disponibile), risentono anche della minore incidenza dei prodotti certificati (DOP e IGP) e da agricoltura biologica, nonostante il forte aumento degli ultimi anni.
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Fonte: L’economia del Corriere della Sera