Export: dopo i risultati record centrati nel 2021, per l’anno in corso l’obiettivo è eguagliare le performance dei 12 mesi precedenti e, in corso d’opera, puntare a migliorarle. Per le imprese s`impone la necessità di diversificare i mercati di vendita
Procedere a fari spenti, ponendosi come obiettivo iniziale quello di almeno eguagliare, alla luce delle turbolenze geopolitiche, una performance straordinaria come quella 2021 (7,1 miliardi di fatturato, +124%). E poi magari in corso d’opera puntare anche a fare meglio. Si presenta così alla vetrina di Vinitaly il 2022 del vino italiano sul fronte export. Un asset imprescindibile che vale oltre il 5o% del giro d’affari del settore.
Il 2022 infatti viene dopo i grandi record del 2021, l’anno della revenge spendig, ovvero del ritorno ai consumi e alla convivialità dopo lo shock della pandemia. Un ritorno che ha premiato il vino italiano e molte delle principali cantine made in Italy che in tanti casi hanno riportato incrementi di fatturato ed export in doppia cifra. Pertanto, se già in condizioni di pace sarebbe stato complicato ripetere le performance del 2021, ancora di più lo è con l’attuale scenario di guerra. E questo non tanto per il peso specifico degli sbocchi coinvolti nel conflitto (la Russia nel 2021 ha importato vino italiano per 149 milioni di euro e, nonostante la crescita del 18,4%, ricopre una quota di mercato sul totale del 2,1% mentre l’Ucraina con 55 milioni vale lo 0,7%) ma per le ricadute che i venti di guerra stanno avendo sull’economia mondiale. La fiammata dei prezzi delle materie prime (come, ad esempio, il vetro) e i suoi effetti sui trasporti globali stanno già penalizzando le esportazioni e la forza competitiva delle imprese italiane.
Nelle scorse settimane hanno lanciato molteplici allarmi su questi temi Federvini, Unione italiana vini e l’Alleanza delle cooperative agroalimentari. Che Russia e Ucraina non rappresentino sbocchi particolarmente rilevanti dipende poi anche da un aspetto in particolare. E cioè che i consumi premium di vino spesso sono effettuati dai russi fuori dei propri confini. Gli oligarchi russi sono buoni consumatori di supertuscan e di Champagne: non a Mosca ma più spesso a Londra, in Costa Smeralda, sul lago di Como, in Versilia o in Costa Azzurra. E una conferma viene anche dal Comitè Champagne secondo cui la Russia vale nelle esportazioni delle bollicine francesi «tra l’1 e l’1,5%».
Il 2021 è stato invece l’anno del consolidamento degli sbocchi storici del vino made in Italy come gli Usa (primo mercato con 1,72 miliardi di euro e un robusto +18,4%), la Germania (che dopo anni di crescite improntate allo zero virgola nel 2021 ha incrementato i propri acquisti di etichette italiane del 5,8%) o il Regno Unito (+5,1% nonostante la Brexit), la Svizzera (+8,8%) il sempre più importante Canada (quinto mercato per il vino italiano, +10,9%). Tallone d’Achille resta ancora la Cina che nel 2021 nonostante una crescita del 29,2% ha assorbito appenall,8% delle spedizioni di vino made in Italy. Considerazioni che sono confermate anche dall’elaborazione che Wine Monitor di Nomisma ha effettuato sulle performance all’estero di regioni e denominazioni e che sarà presentata nei dettagli nel corso dell’incontro nella giornata inaugurale di Vinitaly, il 1o marzo, organizzato da Unicredit e dedicato a “Le regioni del vino italiano: performances di mercato, scenari evolutivi e prospettive”. Premesso che tre regioni (Veneto, Piemonte e Toscana) coprono in valore due terzi dell’export made in Italy: il Veneto 2,5 miliardi (+11,1% nel 2021), il Piemonte 1,2 miliardi (+12,2%), e la Toscana 1,1 miliardi (+16,4%). A seguire il Trentino Alto Adige con 614 milioni e l’Emilia Romagna con 409. L’analisi di Wine Monitor evidenzia ancora una volta la forte concentrazione dei mercati di sbocco anche considerando le principali aree/denominazioni. Per quasi tutte, infatti, pur con qualche differenza nei mercati, i primi tre sbocchi assorbono più del 50% delle vendite. Per il Prosecco che naturalmente riguarda Veneto e Friuli Venezia Giulia, ad esempio, il 28% del fatturato estero è realizzato negli Usa, il 23,4% nel Regno Unito e il 5,2% in Francia (totale 56,6%). I rossi toscani vanno al 35,5% negli Stati Uniti, al 11,5% in Germania, al 9,2% in Canada (totale 56,2%). I vini rossi del Piemonte i128,1% è diretto negli Usa, il 9,3% in Germania e l`8,9% nel Regno Unito. Da sottolineare anche l’Asti, l’unica tra le principali denominazioni italiane che è particolarmente esposta con la Russia. Va infatti verso Mosca (comprese le triangolazioni con la Lettonia) il 23,7% delle bollitine piemontesi, il 15,7% va in Germania e i113,7% è diretto negli Stati Uniti.
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Fonte: Il Sole 24 Ore