L’interruzione delle catene di fornitura di materie prime agroalimentari da Russia e Ucraina ha messo in evidenza un tallone di Achille di diverse filiere regionali: ma si tratta soltanto della classica goccia che fa traboccare il vaso, in quanto già nel periodo di passaggio pre-pandemico con i due anni caratterizzati dalla rivoluzione dei consumi e delle catene di generazione di valore in questo settore, diversi modelli produttivi sono stati messi in discussione
La partita è molto importante: secondo l’ultimo rapporto Ismea-Qualivita l’economia che ruota alle Indicazioni Geografiche, cioè i prodotti con certificazione europea di provenienza, in Friuli-Venezia Giulia sfiora il miliardo di euro all’anno.
La crisi che sta vivendo il settore potrebbe spingere con maggiore forza a ripensare i modelli produttivi di diverse filiere. È quello che auspica la Fondazione Agrifood FVG, l’ente coordinatore di cluster regionale che si occupa di ideare e sviluppare progetto nel settore dell’agroalimentare e della bioeconomia.
“Questi dati meritano alcune riflessioni, a maggior ragione mentre stiamo entrando in una fase storica strategica, quale è la riorganizzazione nel post pandemia, e mentre stiamo affrontando lo shock di forniture per la crisi bellica ucraina – commenta il presidente Claudio Filipuzzi – .La prima è legata alla differenza di valore tra il comparto del vino e quello del cibo, nonostante quest’ultimo conti prodotti di altissima qualità a partire dal Prosciutto di San Daniele DOP e dal formaggio Montasio DOP. La marcia in più dell’enologia è rappresentata dall’avere generato non soltanto un tessuto agricolo, ma una intera catena di valore composta sia da produttori primari sia da trasformatori e distributori. Inoltre sono presenti anche i fornitori di mezzi tecnici, materiali e attrezzature il cui volume di indotto è di tutto rispetto. Nella valutazione Ismea, addirittura, questi elementi dell’indotto non sono considerati limitandosi al valore della filiera di produzione. Quindi è evidente che più la catena del valore si sviluppa localmente più il volume dell’indotto e dei servizi connessi ne aumenta l’importanza. Nel comparto Cibo invece la situazione è diversa perché i prodotti protetti a base di carne hanno filiere anche esterne alla regione, mentre la DOP Montasio è addirittura interregionale. Entrambe, quindi. sviluppano solo una parte della catena, sebbene sia quella di maggior valore aggiunto, in Friuli Venezia Giulia, mentre la produzione primaria e parte della distribuzione sono esterne alla nostra regione”.
Seconda riflessione, secondo Filipuzzi, è che le filiere delle DOP e IGP, se viste in u’ottica di ruralità, plasmano, caratterizzano e curano buona parte del nostro territorio. Infatti le superfici coltivate a vigneto, quelle a cereali per uso zootecnico e quelle coinvolte nella fienagione connotano e caratterizzano la nostra terra. Non sono quindi importanti esclusivamente per il loro valore economico diretto, ma anche per quelli ambientale e sociale.
“Ultima considerazione, non meno importante – conclude il presidente di Agrifood – è quella relativa a come queste filiere e queste produzioni si riorganizzeranno per ammortizzare gli aumenti dei costi energetici e della logistica cui stiamo assistendo.
Infatti, in questa prima fase gli inevitabili aumenti delle spese di produzione saranno assorbiti dalla marginalità, stante anche i contratti in essere. A lungo andare, però, se la situazione non dovesse cambiare in modo sostanziale, si apriranno prospettive di accorciamento della filiera, riorganizzazione delle produzioni e loro ottimizzazione, fenomeni questi che fino a pochi mesi fa erano solo ipotesi con poco credito nel più tradizionalista dei settori produttivi ovvero l`agroalimentare: anche questo settore cioè farà in conti con termini quali re-shoring o near-shoring. Queste ipotesi, per un settore alimentare nazionale che sempre Ismea vede dipendere da una fornitura estera in modo variabile ma costante (ad eccezione delle filiere vitivinicole e della frutta e verdura), sono opzioni su cui cominciare a ragionare concretamente. Quanto dimostrato dal settore alimentare ed evidenziato oggi dalle Denominazioni di origine durante la pandemia ci dice che il processo non sarà facile, ma anche che ha un valore e una incidenza sociale e ambientale di non poco conto”.
Fonte: il Friuli – Business