Lieve flessione nella produzione e nell’export, ma l’Italia di DOP e IGP guarda al futuro Il re? Il Montasio DOP.
Dal Grana Padano DOP alla Mozzarella di Bufala Campana DOP, dal Pecorino Romano DOP al Parmigiano Reggiano DOP, dallo Speck Alto Adige IGP alla Pancetta di Calabria IGP. “L’Italia è caratterizzata da un modello produttivo fortemente orientato al legame territoriale. Ed è necessario, in prospettiva, che la filiera agroalimentare affronti la questione con ancora più impegno rispetto al passato”.
Le parole con cui il presidente Ismea Angelo Frascarelli commenta i dati dell’ultimo rapporto stilato, in collaborazione con Qualivita, riguardo l’agroalimentare di qualità, sono un monito volto ad accendere i riflettori su un problema centrale per l’economia di settore.
Ovvero la necessità di uscire dall’impasse creato dalla pandemia e dalla conseguente crisi del settore Horeca, primo sfogo commerciale delle produzioni agroalimentari di fascia alta. Una crisi aggravata dalla flessione dell’export che continua a pesare su – quasi – tutti i settori del comparto per una perdita totale del 3,8% nel 2020 (gli studi Ismea si sono concentrati infatti sul primo anno di diffusione del Covid) rispetto al 2019.
La soluzione? “Orientare gli sforzi per fare della distintività l’elemento cardine delle strategie produttive e commerciali”. Esattamente come già accade nel settore caseario e in quello norcino (lavorazioni della carne), ovvero i vertici della piramide agroalimentare, com’è stata fotografata (economicamente) da Ismea.
Nonostante la pandemia, infatti, quello dei salumi e dei formaggi resta il fiore all’occhiello del distretto agroalimentare italiano. In tutto, la produzione di salumi e formaggi vale 6,05 miliardi, con un export che tocca quota 2,61 miliardi. In particolare, il settore caseario conta 56 denominazioni e 25.830 operatori che generano un valore di 4,18 miliardi di euro alla produzione (-7,8%) pari al 57% del comparto Cibo DOP IGP.
Fonte: I Piaceri del Gusto