Il made in Italy DOP IGP contava nel 2020 16,6 mld di valore alla produzione e 9,5 mld di export: nuove norme e crisi ucraina agitano però il settore
Nell’anno segnato dalla pandemia, la Dop economy ha confermato il ruolo esercitato nei territori, grazie al lavoro svolto da 200mila operatori e 286 Consorzi di tutela dei comparti cibo e vino.
Il 19° Rapporto Ismea-Qualivita sui prodotti DOP IGP descrive un settore che nel 2020 ha raggiuto 16,6 miliardi di euro di valore alla produzione (-2%), pari al 19% del fatturato totale dell’agroalimentare italiano, e un export da 9,5 miliardi di euro (-0,1%) pari al 20% delle esportazioni nazionali di settore.
“Solo nel settore dei formaggi, però, c’è stato un calo dell’8%”, spiega a MF-Milano Finanza Fabio Del Bravo, direttore di Ismea.
“A giugno 2020 rispetto allo stesso periodo del 2021 il Parmigiano Reggiano DOP e il Grana Padano DOP hanno registrato una riduzione dei prezzi rispettivamente del 31% e del 21%. In compenso ci sono settori in forte crescita come pasta e arancia rossa di Sicilia. Fondamentale è stato il ruolo dei consorzi che hanno preso parte alla crescita di determinati settori”.
La Dop economy tiene insomma sul territorio nazionale e all’estero e rappresenta al meglio la peculiarità e la forza delle produzioni made in Italy.
L’Italia, infatti, con i suoi 841 prodotti è il paese con il maggior numero di filiere DOP IGP STG al mondo, davanti a Francia (697), Spagna (343), Grecia (260) e Portogallo (181).
Nel corso del 2021, il nostro Paese ha registrato tre nuovi prodotti per l’agroalimentare: il Pistacchio di Raffadali DOP (Sicilia), la Pesca di Delia DOP (Sicilia) e l’Olio di Roma IGP (Lazio).
Per il settore vitivinicolo si contano 526 denominazioni, considerando anche la denominazione autorizzata a livello nazionale all’etichettatura transitoria Pignoletto DOP (Emilia-Romagna) e la cancellazione a livello italiano della Denominazione Valtènesi DOP (Lombardia).
Se a livello comunitario “ci aspetta un anno impegnativo, sia per la revisione del quadro normativo dell’etichettatura che per quello del regolamento DOP e IGP”, come sottolineato da Stefano Patuanelli, ministro delle politiche Agricole, in prima battuta grava sul settore il contesto delle forti tensioni internazionali che soffiano dall’Ucraina.
L’Italia è al decimo posto in Europa per scambi alimentari con l’Ucraina, per un fatturato complessivo di 496 milioni di euro, pari al 3% dell’export agroalimentare ucraino, in flessione del 19% su base annua.
Il nostro Paese acquista dall’Ucraina soprattutto oli grezzi di girasole, frumento tenero e mais. E, proprio in relazione al mais, l’Ucraina è il nostro secondo fornitore dopo l’Ungheria, con una quota di poco superiore al 20% sia in volume che in valore.
“Oltre al rincaro energetico del gas pesa anche quello delle materie prime“, continua Del Bravo.
“Il mais è usato per la produzione di fertilizzanti e mangimi e va ad impattare soprattutto sul settore zootecnico. Gli allevamenti da latte e da carne subiscono un aumento del prezzo degli alimenti da bestiame. Se si rimanesse indietro sul fronte della competitività, anche per pochi mesi, si rischierebbe di essere rimpiazzati da altri paesi perdendo una quota di mercato estero conquistato con fatica. In prospettiva il PNRR assume un ruolo determinante con l’agrisolare e la produzione di biometano che consentirebbero al Paese una crescita sostenuta delle filiere DOP IGP”.
Fonte: Milano Finanaza