La lunga battaglia con l’Europa per ottenere l’IGP nel 2010, anni e soldi pubblici sprecati per un prodotto non protetto contro i falsi
“C’erano una volta i dolci tradizionali di Siena” potrebbe sembrare l’inizio di una favola a lieto fine, ma ahimè è l’ennesima storia triste della città: Panforte, Ricciarelli e Cavallucci sono stati per lunghi anni una delle più importanti tradizioni enogastronomiche senesi, oltre che fonte di occupazione per il territorio, poi – negli anni ’90,- la pubblicità della Sapori portò beneficio a tutto il comparto.
Per proteggere e valorizzare queste storiche produzioni senesi si costituì un comitato impegnato nella richiesta dell’IGP di Panforte e Ricciarelli di Siena, pronto ad affrontare un percorso lungo e complesso. Iniziata nel 1996, la “guerra del Ricciarello” venne combattuta a suon di carte bollate a Firenze, Roma e Bruxelles finché nel 2010 l’UE riconobbe come giuste le pretese delle città del Palio e conferì ai tipici dolci senesi a base di pasta di mandorle l’agognato bollino dell’Indicazione Geografica Protetta, portandoli ad essere il primo prodotto dolciario italiano certificato. Un successo, addirittura un primato.
Verrebbe da chiedersi: chissà poi come ha preso il volo questa produzione? Niente di tutto questo. Oggi inorridisco tenendo fra le mani una confezione di dolcetti, chiamati “ricciarelli” sull’etichetta, tra i cui ingredienti manca quello essenziale, la mandorla. E non oso immaginare cosa direbbe il gastronomo senese Giovanni Righi Parenti se fosse ancora in vita. Questa etichetta è il simbolo di una sconfitta, come pensare di poter fare il Chianti con le polverine.
I Ricciarelli IGP sono privi di farina, secondo la ricetta che si tramanda da secoli, e contengono esclusivamente mandorle, zucchero e albume d’uovo. Per attivare un piano di controllo prima di poter commercializzare i Ricciarelli IGP, era stata scomodata anche l’Università di Siena che aveva messo a punto un sistema innovativo per individuare il Dna delle mandorle, la vera discriminante tra un prodotto IGP e gli altri.
Oggi, di fronte ad abusi come questo e alla proposta di modificare addirittura il disciplinare, tutto tace, nessuno si oppone, nessuno protegge questa produzione, perché dopo quasi dodici anni ancora non c’è un Consorzio di tutela riconosciuto dal Ministero.
Resta l’amarezza di tanti anni sprecati e troppi soldi pubblici (quelli della Camera di Commercio per ottenere l’IGP) buttati via. Eppure sono tante le storie di successo dei prodotti che hanno ottenuto l’Indicazione Geografica. Basta pensare ai Cantucci Toscani, dichiarati IGP nel 2016, che da allora hanno registrato una crescita di volumi di produzione del 589%.
È con amarezza che mentre assistiamo a una vera e propria rinascita del settore dolciario italiano nel mondo, Siena si debba muovere in controtendenza, registrando quasi un’involuzione che non si può spiegare se non con la mancanza di innovazione, l’incapacità delle imprese di fare squadra e affrontare insieme i mercati, di promuovere il prodotto.
Qualche esempio positivo c’è, dal Magnifico al Manganelli, dallo stabilimento Fiore al laboratorio Corsini Biscotti, ma siamo lontani dai tempi in cui l’industria dolciaria senese era importante per il lavoro e l’economia della città. È arrivato il momento di fare una riflessione seria, anche su altre situazioni di crisi nel settore agroalimentare: dal Consorzio Agrario, una potenza fino a pochi anni fa, al fallimento dell’Enoteca Italiana, altro simbolo di Siena finito nel nulla.
Non possiamo più continuare a far finta di essere quelli che non siamo. Il tempo in cui tutto veniva chiamato “eccellenza senese” è finito. È il momento di prendere coscienza della situazione e cercare una nuova strada per rilanciare il territorio e soprattutto la città.
Fonte: La Nazione