AstraRicerche ha sondato gli under 25: sono attenti e intransigenti sull’alimentazione responsabile e timorosi del fenomeno greenwashing
La pandemia ha fatto crescere la sensibilità dell’opinione pubblica sul tema della salvaguardia del Pianeta, che poi significa anche difesa del nostro futuro. Lo si nota, tra le altre cose, nell’attenzione sempre più forte sulle caratteristiche e l’origine dei prodotti che mettiamo in tavola. Secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione meteorologica mondiale, gli ultimi sette anni sono stati i più caldi mai registrati sulla Terra, determinando una serie di eventi atmosferici estremi. Senza un’inversione di rotta, spiegano gli esperti, andremo incontro a conseguenze fortemente negative, dall’accelerazione nello scioglimento dei ghiacci all’aumento della siccità, fino a sempre più frequenti ondate anomale di caldo e di freddo.
Secondo l’indagine “Coltivare il cibo del futuro“, condotta da AstraRicerche per McDonald’s, che indaga sulle aspettative e i comportamenti della generazione Z (15-25 anni) in materia di transizione ecologica e filiera agroalimentare, le giovani generazioni conoscono in modo chiaro, molto più del campione generale, il concetto di transizione ecologica della filiera alimentare (60% contro il 42,2%), ma affermano anche di volerne sapere di più. Per sette giovani su dieci la sostenibilità ambientale e sociale è una priorità. Inoltre «la generazione Z è piuttosto diffidente – osserva Cosimo Finzi, direttore di AstraRicerche – Ritiene che i claims di sostenibilità delle aziende siano spesso o sempre veri in misura sensibilmente inferiore rispetto al totale della popolazione». Questa diffidenza, prosegue, «è tipica della generazione Z che mette in discussione per poter capire maggiormente e non sentirsi eterodiretta». Del resto, se negli ultimi anni è cresciuto l’utilizzo delle parole “bio“, “eco“, “km 0” e “sostenibile“, non sempre ciò che viene riportato in etichetta o attraverso slogan e pubblicità corrisponde al vero, dando luogo al cosiddetto fenomeno del greenwashing. Ovvero quella pratica ingannevole che intende trasmettere un’immagine d’impegno a favore dell’ambiente senza però che questo corrisponda ad azioni concrete. In termini di sostenibilità del cibo i giovani danno la priorità soprattutto a quella ambientale (72%), seguita dalla sostenibilità economica di filiera (66%) e sociale (66%).
A questo proposito, negli ultimi armi le aziende dell’alimentare hanno messo in atto una serie di azioni per ridurre ulteriormente l’impatto ambientale delle proprie attività. Ad esempio riducendo il ricorso alla chimica nei processi di produzione e l’emissione di gas a effetto serra, aumentando l’utilizzo di fonti rinnovabili nel mix di produzione e consumo e diminuendo l’uso di materiali da imballaggio. Il settore ha inoltre puntato su tecniche di coltivazione sempre più green: la Penisola vanta infatti la leadership Ue nel biologico che ammette per la propria produzione solo l’utilizzo di sostanze naturali. Tornando all’indagine, «se il prodotto alimentare è davvero sostenibile la generazione Z è disponibile a riconoscere un prezzo decisamente superiore: almeno un quarto in più» sottolinea Finzi. Mentre quando si parla di impatto negativo delle diverse fasi della filiera, gli intervistati mettono al primo posto gli sprechi del consumatore, seguiti dal trasporto, dalla lavorazione/trasformazione industriale e dal packaging.
Fonte: Affari&Finanza – La Repubblica