Industria alimentare e prodotti DOP IGP: un connubio vincente che fa aumentare le vendite dei grandi gruppi che valorizzano gli ingredienti di qualità
Perfino giganti come Mc Donald’s, Coca Cola e Findus lo sanno, non lo nascondono e anzi lo valorizzano: avere tra i propri ingredienti i prodotti della tradizione italiana (DOP e IGP) mette il turbo a vendite e affari.
«Venti o trenta anni fa – spiega Mauro Rosati, direttore generale della Fondazione Qualivita- il consumatore italiano era attratto dal brand aziendale e dalla sua forza comunicativa e distributiva. Spesso non si interrogava su origine e percorso di filiera di ciascun ingrediente. Oggi è ben diverso: il marchio rimane importante, ma lo diventano anche quello del territorio e delle produzioni certificate».
Lo dimostrano i dati della ricerca di Qualivita presentati al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali: nel 2020 circa 1.600 aziende di trasformazione alimentare hanno usato ingredienti DOP e IGP per 4.600 preparazioni.
In valore significano 260 milioni aggiuntivi per le produzioni tutelate che a loro volta producono più di un miliardo di curo per l’industria e l’artigianato alimentare.
Camminare in tandem fa insomma bene sia all’agricoltura e ai produttori del territorio che all’industria alimentare.
«È un plus ulteriore – afferma il sottosegretario Gian Marco Centinaio – per i brand più famosi, che a loro volta diventano uno strumento per far conoscere a un numero sempre maggiore di consumatori le eccellenze del nostro agroalimentare».
I prodotti alimentari a tutela sono un punto di forza dell’Italia che vanta il primato mondiale di DOP e IGP, con 840 filiere a qualità certificata che coinvolgono 180.000 operatori per una produzione che sfiora i 17 miliardi di curo.
Molti i “casi di studio” analizzati dalla ricerca di Qualivita a dimostrazione dell’incremento del giro d’affari «co-creazione di valore», lo definisce Rosati – sia delle aziende che utilizzano i prodotti della tradizione (che così valorizzano anche la loro reputazione) che dei produttori locali, che hanno occasione di destagionalizzare le produzioni.
Ecco così il Limone di Siracusa e l’Arancia Rossa di Sicilia nelle bevande del gruppo Coca Cola; la Cipolla Rossa di Tropea e la Patata del Fucino nei minestroni Findus.
Mc Donald’s Italia arriva a indicare la cifra di 60 milioni di panini con ingredienti DOP IGP da quando li ha inseriti nei menù una decina di anni fa.
Significativo quanto affermato da Guido Calò di Sammontana che questa estate presenta come novità il cornetto al Cioccolato di Modica «Per noi – ha detto – che sul mercato ci scontriamo con le multinazionali del gelato, è importantissimo il legame col territorio italiano».
Gli ingredienti marchiati DOP IGP sono impiegati soprattutto in condimenti (42%) e primi piatti (41%), salumi (33%) e dolci (31%); seguono poi formaggi e gelati (25%), marmellate, pizze e bevande (23%).
Non sono mancati, ovviamente, i tentativi di truffa ai danni dei consumatori addirittura anche da parte di grandissime aziende internazionali.
Con l’aiuto dei Carabinieri, per esempio, il Consorzio del Prosecco ha fatto ritirare dal mercato (perché senza autorizzazione) le patatine al Prosecco e pepe rosa e quello del Gorgonzola ha impedito la vendita di gnocchi che contenevano una percentuale ripieno-impasto inferiore a quella concordata.
L’analisi di Qualivita ha rilevato un quadro normativo europeo frammentato e comunque un primato italiano in termini di regolamentazione essendo gli unici ad avere introdotto un meccanismo di autorizzazione in capo ai Consorzi di tutela.
«La ricerca – afferma Rosati – ci indica che dobbiamo costruire sinergie ancora più strutturate fra i comparti per rendere più efficaci le filiere, dare maggiori garanzie a consumatori e imprese e cogliere appieno le possibilità dei trasformati di qualità».
«Finora è stato frutto – conclude – di un connubio occasionale tra prodotti Dop Igp con industria e artigianato alimentare. Invece, le attività mirate da parte dei consorzi potrebbero aprire uno sviluppo davvero molto più ampio».
Fonte: Il Messaggero