La Food Valley punta sul marketing territoriale per attrarre i foodies internazionali e sull’innovazione per valorizzare i prodotti e ampliare i mercati di destinazione.
Più investimenti in innovazione e ricerca, e più turismo gastronomico. Secondo i big dell’agroalimentare emiliano-romagnolo, è questa la ricetta per far correre ancora di più la Food Valley.
Food Valley che, di suo, già corre parecchio: con 20 miliardi di fatturato regionale all’anno, l’Emilia Romagna è al primo posto in Italia per numero di prodotti DOP e IGP, dal Parmigiano Reggiano al Prosciutto di Parma, passando per l’Aceto Balsamico di Modena e il Grana Padano.
«La Food Valley dell’Emilia-Romagna mette il mondo a tavola», dice a mo’ di slogan Gianpiero Calzolari, presidente di Granarolo, il gigante cooperativo dei latticini che ha il quartier generale a Bologna.
«Ritengo ci siano le condizioni per crescere ancora – prosegue Calzolari – sia aiutando le nostre imprese ad andare all’estero, sia attirando qui in Emilia Romagna investimenti e avviando collaborazioni per spingere sull’innovazione e la ricerca. In un mondo sempre più dominato dalla logica delle commodity, l’Emilia-Romagna può e deve dare risposta a chi chiede distintività, tipicità, sicurezza alimentare garantita da filiere tracciate».
Diventare più competitivi attraversole aggregazioni può essere una strategia vincente? «Le aggregazioni sono un’altra delle chiavi per essere più forti – dice Calzolari – perché rappresentano modi più efficaci per proporsi in modo sostenibile e innovativo, per esempio proponendo nuovi packaging, o nuovi tempi di conservazione, ma non sono facili da fare».
Eppure, le aggregazioni sono necessarie: «Credo che la crisi pandemica abbia fatto emergere la piena consapevolezza che il settore del food è fondamentale e strategico – sostiene Andrea Schivazappa, ad di Parmacotto, l’uomo che ha traghettato il marchio parmense dal fallimento a una nuova stagione di successi -. Il comparto, però, è troppo frammentato: oltre l’80% delle nostre imprese fattura meno di io milioni di euro all’anno. È da questo dato che bisogna partire per fare considerazioni di politica industriale. La frammentazione del mercato determina difficoltà anche nelle esportazioni. Risultati migliori sono stati raggiunti dalla Spagna, dalla Germania e dalla Francia: eppure noi siamo il primo Paese al mondo per prodotti DOP e IGP. Le dimensioni prevalentemente ridotte delle aziende del settore sono un limite».
Nicola Bertinelli è presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, la più grande DOP italiana per valore di produzione: «Dal mio punto di vista, per svilupparsi ulteriormente, la Food Valley deve muoversi in due direzioni. In primo luogo, è necessario un investimento in innovazione. Altrettanto importante deve però essere lo sforzo per diventare sempre più un polo di attrazione turistica. La Food Valley deve diventare una meta imperdibile per i foodies che vogliono toccare con mano le eccellenze che tutto il mondo ci invidia, proponendo visite alle produzioni e valorizzando il territorio con percorsi che esaltino i prodotti in termini di experience».
Innovazione, turismo, ecologia: per fare tutto questo, il supporto pubblico è fondamentale. Ne è certo Federico Vecchioni, amministratore delegato di BF Spa: la sua controllata Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, ha la sua sede principale a Iolanda di Savoia. «Le sfide dei prossimi anni impongono una integrazione sempre più spinta tra iniziativa privata e progettualità pubblica – sostiene -. Ma la condizione discriminante è che la macchina pubblica si coordini con le tempistiche del mercato e le alleanze private tra operatori giustifichino una virtuosa collaborazione tra istituzioni ed imprenditori. In Emilia Romagna ci sono imprese competitive: più il contesto sarà favorevole più la regione evolverà in meglio».
Fonte: Il Sole 24 Ore