I numeri parlano chiaro. Il vino «green» è piccolo, ma cresce. In Italia, primo produttore, sono coltivati in regime di agricoltura biologica quasi 110mila ettari di vigneto, il 17% del totale, di cui 84mila già convertiti (+13,8%) e 25mila in fase di conversione: con la Spagna – che ci supera di poco, a 114mila ettari – e la Francia terza a circa 95mila, fanno il 71% dei 422mi1a ettari di filari nel mondo.
La Sicilia è la prima regione, seguita da Puglia e Toscana, con il Veneto che segna un +30%. Il vigneto green è parte di un mondo, l’agricoltura biologica, che in Italia vale 4,3 miliardi di euro, di cui 2 miliardi e 600 milioni dall’export, per 80mila aziende che coltivano 2 milioni di ettari, il 15,8% dell’intera superficie agricola utilizzabile, sopra la media Ue (8%).
Moda? Certamente c’è e influisce. Fa chic-alternativo, forse il peggiore degli atteggiamenti modaioli, ostentare con gli amici il cibo bio e l’abitudine di frequentarne i negozi-santuario (cari, a essere franchi, ma è chiaro che i costi di produzione sono più onerosi). Però è un dato di fatto che il Brunello sfiori il 50% della Sau coltivata a bio, e che il Chianti Classico – per fare due esempi – superi invece di molto la metà della superficie vitata già convertita.
Con l’esempio virtuoso dell’Unione Agricoltori di Panzano, la «piccola Borgogna» di Toscana, ormai interamente biologica. Di più: girando per vigneti, vi sentirete sempre più spesso ripetere «non mi converto perché non credo ai bollini, ma nelle mie vigne la chimica di sintesi non entra». Buone pratiche. Ma, come sottolinea Slow Food dopo che il Senato ha appena varato la nuova legge per il settore, con un grave rischio: che le pratiche biologiche e biodinamiche siano demonizzate come «stregonerie» dalle lobby dell’agricoltura intensiva, stranamente affiancate dalla miopia di qualche associazione di consumatori in nome di un non ben chiaro scientismo. La normativa potrebbe subire seri ritardi e stravolgimenti. E la Madre Terra non può più permetterselo.
Fonte: QN