I dati del Rapporto Ismea-Qualivita descrivono la Dop economy, un settore a traino del sistema agroalimentare e dei territori. Il punto di Mauro Rosati e le considerazioni sullo sviluppo del settore nell’anno della pandemia.
L’analisi del XVIII Rapporto Ismea-Qualivita attesta la solidità e la forza della Dop economy, un sistema in grado di promuovere lo sviluppo nell’intero territorio italiano e che ribadisce un trend di ininterrotta ascesa negli ultimi 10 anni: le DOP e IGP valgono in Italia 16,9 miliardi di euro alla produzione e crescono del +4,2% rispetto al 2018 (che aveva segnato a sua volta un +6%) pesando sulla bilancia delle esportazioni per 9,5 miliardi di euro. La Dop economy rappresenta il 19% del valore agroalimentare nazionale (+5,1% in un anno) e corrisponde al 21% delle esportazioni nazionali agroalimentari, grazie al lavoro di oltre 180.000 addetti e all`impegno di 285 consorzi di tutela riconosciuti.
Mauro Rosati, direttore di Qualivita, in merito al 2020 considera che quanto si è perso nel settore Horeca dovrebbe ritornare attraverso GDO ed export. “Ritengo che la Dop economy non abbia risentito troppo della crisi pandemica, anche se sono cambiate, durante il 2020, diverse dinamiche. Il settore agroalimentare ha continuato a lavorare con la pandemia, quello vitivinicolo ha invece incontrato qualche difficoltà in più. Ma senza dubbio su entrambi il blocco della ristorazione e il fermo del turismo hanno influito pesantemente“. Tuttavia, dopo un primo periodo di complessità oggettiva, i Consorzi e le filiere hanno cominciato a mettere mano al problema, rimodulando alcune scelte. “Sicuramente hanno avuto qualche incertezza in più le piccole imprese della filiera, mentre le grandi, con distribuzione storica nella GDO, hanno potuto difendersi meglio dalla crisi” afferma il direttore. Nel periodo estivo si è tirato un po’ il fiato, ma bisogna pensare che il turismo in Italia è per oltre la metà dovuto ai mercati stranieri che nella bilancia dei pagamenti hanno un peso importante. In questa roulette quelli rimasti indietro sono senz`altro i prodotti meno blasonati, fuori dalla grande distribuzione, venduti in loco per turisti e ristoratori, non preparati all`esportazione e al mercato online.
“Il vero momento critico è stato tra aprile e maggio, quando ci siamo resi conto che non era un fenomeno temporaneo e si doveva trovare il modo di affrontarlo“. L’Italia è stata vista all’inizio del 2020 come un Paese a rischio sanitario internazionale. Poi il problema si è manifestato a livello mondiale e tutti hanno capito che il Covid-19 non ha niente a che fare con le filiere produttive alimentari. “L’esportazione nel periodo è stata fondamentale e alcune realtà hanno compreso l’importanza di fare rete, come è avvenuto, ad esempio, per la Burrata di Andria IGP, una Indicazione Geografica Protetta messa a sistema anche nella produzione, un valore aggiunto che l’ha resa uno dei prodotti certificati più popolari nel mondo“. Le nuove certificazioni, in questo momento, secondo Mauro Rosati, dovrebbero organizzarsi in una filiera di settore per affrontare al meglio un mercato divenuto sempre più competitivo e imprevedibile.
Fonte: Mark Up