In Italia il ricorso agli antibiotici è diminuito di oltre il 20% per cento. Atteso un aumento dei prodotti senza polifosfati e senza le uova
Dal pollo biologico Fileni al Campese Amadori. Dalle carni a marchio Conad a quelle a marchio Pam. Sono sempre di più le realtà italiane che hanno scelto di abolire l`uso degli antibiotici negli allevamenti. E i consumatori italiani sembrano apprezzare: all`interno della categoria dei prodotti “free from”, cioè senza qualcosa, il segmento “senza antibiotici” è in assoluto quello che l’anno scorso è cresciuto più di tutti. Più 51,7%: un vero e proprio boom, all`interno di un business, quello dei “cibi senza”, che nei supermercati italiani già vale 6,9 miliardi di euro ed è in costante crescita.
Lo dicono gli ultimi dati dell’Osservatorio di GS1 Italy, grande conoscitore di etichette: in un anno di crisi in cui molti consumatori si stanno riposizionando verso le fasce più convenienti di prodotto, questo genere di alimenti, generalmente più costosi, hanno incassato comunque una crescita del 2,2% anche nel 2020.
Tra i pionieri dell’abolizione degli antibiotici nelle carni c’è sicuramente Coop, che ha lanciato questa battaglia già nel 2017, riproponendosi di eliminare gli antibiotici da tutte le proprie carni a marchio nel giro di tre anni. Dopo i bovini e il pollame, Coop è passata al pesce di allevamento: dalla fine del 2019 ha scelto di non utilizzare antibiotici negli ultimi sei mesi di vita di tutto il pesce allevato a marchio Coop.
Anche chi non riesce ad eliminare del tutto questi medicinali si sta però impegnando a ridurne sensibilmente l’utilizzo all’interno degli allevamenti. Inalca, per esempio, del gruppo Cremonini, uno dei colossi della carne in Italia, negli ultimi due anni ha ridotto dell’8% l’impiego degli antibiotici grazie a un protocollo avviato con la Coldiretti. E secondo gli ultimi dati del progetto Esvac di sorveglianza europea sul consumo di antimicrobici veterinari, il loro impiego in Italia si è ridotto di più del 20 per cento.
Pur galoppando velocemente, tra gli scaffali dei supermercati italiani quello degli alimenti “senza antibiotici” non è però il più gettonato dei prodotti “free from“. In cima alle preferenze di acquisto resta infatti la dicitura “senza conservanti“, i cui prodotti rappresentano circa il lo% di questo mercato, mentre al secondo posto ci sono gli alimenti “senza olio di palma”, che valgono il 7% delle vendite ma la cui offerta, nell’ultimo anno, anziché aumentare è diminuita dello 0,4 per cento.
I prossimi “senza” su cui scommettere? Secondo gli esperti dell’Osservatorio GS1 Italy, sono tre le diciture che si apprestano a conquistare il cuore dei consumatori italiani. La prima è la dicitura “senza polifosfati“: si applica agli affettati, ai wurstel, ai salumi a cubetti e ai formaggi fusi a fette, e nell`ultimo armo ha visto crescere le vendite dell`8,9%. La seconda è la categoria dei prodotti privi di latte (4-11,9% nel 202o) e anche questa riguarda soprattutto i salumi, oltre ai gelati vegetali e ai panini per hamburger. La terza, infine, è l`indicazione “senza uova“, che spesso si abbina alla pasta senza glutine e ai biscotti per l`infanzia. Complessivamente, il mondo dei prodotti alimentari rivolti a chi soffre di allergie o intolleranze alimentari da solo genera oltre 3,9 miliardi di euro di vendite nei supermercati.
Fonte: Il Sole 24 Ore