Nel mercato del tempo fragile segnato dalla pandemia a imporsi sono i comparti alimentari (+64%), media e intrattenimento (35%), pickup e delivery da ristoranti (27%). Nel momento in cui il mondo fisico si è ristretto, quello digitale si è espanso a livello globale aprendo nuove opportunità per il “made in Italy” anche in ambito B2C
“Ogni viaggio sospeso prima o poi ricomincerà”. Un messaggio in mandarino scritto su sfondo arancio ocra e pubblicato sulla piattaforma WeChat è diventato uno dei più condivisi sugli smartphone cinesi. Così a inizio 2020, prima ancora che la pandemia fosse dichiarata tale e quando le immagini dei lockdown a Wuhan iniziavano a rimbalzare su tutti i tg del mondo, il colosso del lusso Louis Vuitton ha comprato spazi sulla piattaforma social più diffusa in Oriente.
Un’azione anche commerciale: la griffe francese ha chiuso il 2020 con un fatturato consolidato di 44,7 miliardi di euro e realizza un terzo delle proprie vendite nel mercato cinese. Ma in filigrana si legge anche altro, ossia quel mettersi in ascolto di una comunità. Vendere prodotti e servizi, posizionandosi al meglio sui mercati esteri, nel momento in cui il mondo fisico si è ristretto e quello digitale si è espanso. E farlo intercettando fasce di popolazione geograficamente lontane e alfabetizzate agli acquisti online. La fotografia scattata da PwC nella survey Global Consumer Insight 2021 racconta come il 79% dei consumatori oggi scelga di andare online con lo smartphone: il mobile diventa così un accesso privilegiato agli store virtuali, che hanno registrato nel 2020 +45% di vendite. Intanto i142% dei consumatori quando acquista online premia velocità e affidabilità nelle consegne. Nel tempo fragile segnato dalla pandemia a imporsi sono i comparti alimentari (+64%), media e intrattenimento (35%), pickup e delivery da ristoranti (27%).
Ma il mercato allarga le sue maglie e gli analisti stimano che l’acquisto online di beni nel 2021 arriverà a 461 miliardi di euro (+93%), mentre quello dei servizi a 107 miliardi di euro (+26.2%)(…) Quindi per affrontare l’estero occorre conoscere le strategie digitali – dalla generazione di contatti commerciali alla vendita online – e gli investimenti necessari per sviluppare una presenza in mercati spesso più maturi e quindi più competitivi. Si può iniziare gradualmente una collaborazione con i partner locali o avvantaggiarsi del supporto operativo e logistico dei marketplace.(…)”, dice Boscaro.
A fare la differenza è l’effetto “aloha spirit“, cioè lo spirito conversazionale, come ha scritto Lawrence Downes sul New York Times: ciò che conta è entrare in sintonia con la comunità specifica alla quale ci si rivolge. “La tecnologia conta, ma è sempre più accessibile grazie all’enorme diffusione delle soluzioni open source e delle community che sviluppano anche le funzionalità necessarie per i siti multi-lingua e multi-valuta: per esempio Google ha introdotto strumenti per facilitare la corretta indicizzazione dei siti in relazione ai mercati di riferimento. Ecco perché l’ecommerce ha a che fare con la psicologia, tanto quanto ha a che fare con la tecnologia: non può prescindere da un efficiente customer care in lingua, soprattutto nella prevendita”, conclude Boscaro. Ancora una volta la partita per l’attenzione e il relativo acquisto nell’agone digitale si gioca su competenze relazionali, oltre a quelle tecnologiche.
Fonte: Sole 24 Ore – Nova.Tech