La dieta mediterranea, il regime alimentare considerato il migliore al mondo dall’Unesco, basato anche su proteine animali, è messo a rischio dal business della carne «green» o di laboratorio. Molto meno salubre, in realtà, di un vero hamburger.
Una bufala verde? Può darsi: in tavola c`è un avviso di sfratto per i piatti tradizionali a cominciare da bistecche e salumi accusati di ogni nefandezza a vantaggio di più chimica e di cibi ecologicamente corretti.
A patirne le conseguenze negative è proprio il modello Italia, quello che ha prodotto la dieta mediterranea considerata dall`Unesco il regime alimentare più salubre e culturalmente rilevante. Eppure il neoministro per la transizione ecologica, il fisico Roberto Cingolani, si è presentato tracciando così la strategia per lo sviluppo sostenibile: «L`agricoltura intensiva pone problemi. Sappiamo che chi mangia troppa carne subisce impatti sulla salute, allora si dovrebbe diminuire la quantità di proteine animali sostituendole con quelle vegetali. D`altro canto, la proteina animale richiede sei volte l`acqua della proteina vegetale, a parità di quantità, e allevamenti intensivi producono il 20 per cento della CO2 emessa a livello globale». Bill Gates, da lì a pochi giorni ha fatto sapere: «I Paesi ricchi del mondo dovrebbero mangiare solo carne sintetica per risolvere il problema climatico e le emissioni di CO2».
Che il signor Microsoft abbia investito montagne di dollari nella start-up Memphis Meat convincendo anche Richard Brandson (patron di Virgin) a scommettere su questo eco-business forse non c`entra nulla. Il progetto Memphis Meats è nelle mani di un advisor molto particolare, la Dfj che ha lanciato la Tesla, e nel capitale sono entrati la Cargill, il quasi monopolista della soia e dei sementi – un colosso da 60 miliardi di dollari in mano a una sola famiglia – e Google. Come dire c`è il «gotha» della Silicon Valley.
Nutri-Score. La nuova etichetta a semaforo che valuta la qualità di un alimento promuove l`hamburger vegano, ricco però di sostanze chimiche
E le nostre «Dop» finiscono nel mirino
«In Europa c`è più attenzione verso certi interessi piuttosto che verso la salvaguardia di produzioni locali. Si obbedisce un po` troppo alle lobby perché un conto è preoccuparsi della salubrità degli alimenti, un conto è inventarsi per ragioni commerciali rischi e strumenti che distorcono il mercato». Parola di Renato Zanghini, presidente del Consorzio del Grana Padano, la DOP ovvero «Denominazione di origine protetta» più venduta d`Europa: oltre 2 miliardi di fatturato.
Gli strali sono contro il Nutri-score, l’etichetta a semaforo, ma anche contro il protocollo anticancro della Comunità che penalizza vino (dal 2022 etichetta obbligatoria con gli ingredienti), salumi e carne rossa, prodotti che non saranno più promossi perché sospetti tumorali. Eppure l’evidenza scientifica che così sia non c`è. Anzi. Il primo riflesso per chi produce formaggio è: ma senza vitelli dove troviamo il latte?
L`Europa sogna probabilmente spinta dalle multinazionali del food che si stanno trasformando in «healthy company» e preferiscono la chimica all`agricoltura – di essere una mensa vegana. A danno dell`agricoltura italiana che possiede produzioni di altissima qualità riassunta dall`espressione la Dop economy. Fondazione Qualivita, diretta da Mauro Rosati, stima che valga 16,9 miliardi per 9,5 miliardi di fatturato estero. DOP e IGP, ovvero «Indicazioni geografica protetta», tra formaggi prosciutti, ortaggi, frutta e vini, valgono quasi un quinto del fatturato dell`agroalimentare italiano. E spesso sono il volano dell`economia di aree marginali.
Fonte: Panorama