Riscoperto da un decennio dall’Horeca il Vermouth di Torino, è stato riconosciuto come Indicazione Geografica superando la pandemia grazie all’export
Il Vermouth di Torino IG in principio fu l’artemisia maggiore, in tedesco “wermut”, che, addizionata al vino bianco insieme ad un novero di erbe selezionate e una manciata di zucchero, diede vita a una bevanda unica. Il Vermouth appunto, apprezzata tanto da Casa Savoia quanto dalla borghesia torinese abbiente, al punto da diventare il re degli aperitivi già alla fine del ’700. Il boom nel ventesimo secolo quando, utilizzato nella preparazione di cocktail iconici come l’Americano, il Manhattan o il Negroni, entrò nella storia.
La riscoperta, dopo un lungo periodo di crisi, negli ultimi dieci anni, complice il rilancio della ricetta originale ad opera, in primis, di piccoli produttori focalizzati sull’alta qualità, sia a livello di ingredienti sia in termini di processi.
“Ogni erba, dall’artemisia alla genziana, dal ginepro al cardamomo, viene raccolta nel periodo giusto e infusa in tempi consoni, rigorosamente controllati dai mastri vermuttieri – spiega Gianfranco Toso, ad di Toso S.p.A. che ha avuto il pregio di riportare alla luce l’antica ricetta ottocentesca dell’originale vermouth Gamondi.
Nel nostro caso, il vino di base, costituito per il 51% di Moscato d’Asti Docg completato da Piemonte Cortese Doc, una volta aromatizzato, viene successivamente affinato per quasi dodici mesi, un lasso di tempo piuttosto impegnativo rispetto ai pochi mesi di maturazione normalmente necessari a produrre un vermouth industriale”.
In particolare, trainata soprattutto dalle vendite nel canale horeca, dal 2014 il Vermouth di Torino superiore ha registrato una forte accelerazione in Italia, a ritmi del 20-30% annui.
Fonte: Repubblica.it