Sono molti gli esempi di rivoluzione nel settore alimentare, che vede l’Italia all’avanguardia. Ideando nuovi processi di coltivazione e trasformazione industriale, conservazione e packaging, distribuzione e ristorazione, il Food in Italy rafforza un primato per piatti e ingredienti. E la tecnologia aiuterà a superare le temporanee difficoltà all’export dovute alla pandemia: non sono rimaste a lungo chiuse le frontiere di paesi dove si invocavano cautele per la salute e furbescamente si voleva dare una mano a parmesan et similia.
Perché il record italiano è saldo, simbolizzato dalla sede a Parma dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), provato dai numeri della Dop economy, arrivata a 16,2 miliardi di euro, secondo il Rapporto 2019 Ismea-Qualivita: +6% (+7,9% il valore alla produzione del vino imbottigliato, +3,8% l’agroalimentare), in crescita ininterrotta da 10 anni. Ne misura la portata anche il numero di cibi e vini italiani di qualità con filiera interamente controllata: a fine 2019 i prodotti certificati erano 824 (DOP, IGP e STG), la quota più alta su 3.071 registrati nel mondo.
E proprio le applicazioni digitali facilitano la riconoscibilità, certificando la storia degli alimenti. Qr code, etichette intelligenti (Nfc, Rfid), sensori laser o molecolari portatili sono impiegati per la tracciabilità e integrati alle certificazioni garantite con blockchain. Tutte queste informazioni finiscono poi sulle piattaforme di e-commerce, che sempre più aprono il mercato globale anche ai microproduttori, che possono mostrare e vendere direttamente. Sono destinate quindi ad ampliare il business, parallelamente al rafforzamento sugli scaffali della grande distribuzione (il 58% dei consumatori giudica importante che le specialità alimentari siano di piccole aziende locali, secondo un rapporto Nomisma).
Siccome il web è la vetrina migliore, in sostegno di migliaia di pini alimentari arrivano tante neoimprese che ideano software specializzati mentre a vantaggio dei clienti si moltiplicano le app. Ci sono anche quelle per evitare sprechi, ricordando che nel mondo industrializzato va perduto o è gettato circa un terzo della produzione (1,3 miliardi di tonnellate). Contro questa inefficienza le innovazioni tecnologiche, di processo e di vendita, connettono chi ha alimenti in scadenza con chi vuole risparmiare, mentre le aziende agricole possono mettere in comune know-how e i macchinari più costosi. In fondo, un tempo lo facevano i contadini con la trebbiatrice.
Niente è ormai più circoscritto della produzione di cibo, niente è più globalizzato prima e dopo il campo. Sementi, fertilizzanti, macchinari e gasolio prima, lavorazione, confezione, trasporto, distribuzione, vendita dopo. Che significa milioni di camion, navi e aerei, ancora camion, così che The Economist calcola che quattro quinti della popolazione mondiale mangino grazie all’import-export, triplicato in valore dal 2000. La catena di valore alimentare somiglia sempre più a quella dell’auto. In questo colossale giro d’affari le prospettive per il Food in Italy, che già vale in complesso (dai campi ai supermercati) 538 miliardi, appaiono ancora sconfinate. Perché la qualità è alta perché bisogna compensare la spesa all’estero delle materie di base: la dipendenza alimentare è cresciuta nel periodo 1997-2017 del 1520%, più che per Francia e Germania.
Fonte: Capital