Dietro la crosta dura del Grana Padano c’è una lavorazione che oltre al latte richiede energia, i cui processi possono essere ottimizzati. È una catena lineare dalla culla alla bara, se così possiamo dire: parte dai foraggi per il bestiame e arriva fino allo smaltimento della confezione. Il bilancio fa ed è il dna della cosiddetta impronta ecologica. Anche il formaggio ne ha una. Per la prima volta un progetto europeo guidato dal Politecnico di Milano calcolerà le ricadute ambientali dell’intera filiera del Grana Padano DOP, con ogni probabilità la denominazione di formaggio più grande d’Europa. L’iniziativa, che si chiama Life TTGG e terminerà il prossimo anno, si articola su due fronti. Primo raccogliere in una banca dati tutte le informazioni disponibili sulla produzione, dal consumo di combustibili ai materiali dell’imballaggio fino ai detergenti utilizzati per igienizzare gli ambienti. Queste informazioni serviranno a capire sia come gestire in modo più efficiente la filiera del Grana Padano DOP.
“La richiesta di calore, in azienda, può incidere fino al 10 per cento sull’impatto della produzione del Grana Padano. – spiega Pieter Ravaglia del Dipartimento di Energia dell’ateneo milanese – Uno degli interventi che si possono mettere in campo per ridurre il fabbisogno energetico è installare nel caseificio uno scambiatore di calore, un dispositivo che consente di recuperare l’energia termica del siero per scaldare l’acqua utilizzata per i lavaggi dello stabilimento. Un tipo di intervento che permette di ridurre sia il consumo energetico legato al riscaldamento dell’acqua che il raffreddamento del siero”. Un’altra possibile soluzione è migliorare l’efficienza energetica del magazzino di stagionatura con un sistema di raffrescamento che sfrutta al meglio l’energia dell’aria esterna al magazzino. Per Life TTGG, acronimo di The Though Get Going (traducibile con “I duri iniziano a giocare”), oltre al Grana Padano sarà passata ai raggi X anche la filiera del Comté DOP, la più grande DOP francese. In tutto, saranno coinvolte nel progetto 98 stalle, 39 caseifici e 22 tra confezionatori e stagionatori. Al progetto partecipano anche istituti di ricerca l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, OriGIn, la Fondazione Qualivita e il francese CNIEL, il Centre national Interprofessionnel de l’Economie Laitière.
Fonte: La Stampa.it