Radicchio svenduto, invenduto o distrutto con i trattori nei campi. Per la rosa di Chioggia, nella varietà precoce, è crisi nera e l’intero comparto rischia il collasso. Da giorni il radicchio viene battuto all’asta a prezzi che nemmeno ripagano i costi di produzione, che si aggirano sui 70 centesimi al chilo. Nei giorni scorsi l’asta si è chiusa a 12-15 centesimi, quasi “un’elemosina” per i produttori che in alcuni casi, presi dallo sconforto, hanno preferito distruggere il radicchio sul campo piuttosto che portarlo al mercato. A complicare le cose il fatto che la produzione del precoce, quella solitamente più attesa perché copre il 70% dei fatturati, si è sovrapposta a un’enorme quantità di prodotto invernale, frigo conservato.
«La situazione è ormai insostenibile per gli ortolani chioggiotti», denuncia Giuseppe Boscolo Palo, presidente del Consorzio di tutela del Radicchio di Chioggia IGP e amministratore unico del mercato ortofrutticolo, «come da previsione più nera, il radicchio negli ultimi giorni è andato invenduto. Qualche commerciante ne ha comprati pochi quintali a un prezzo “caritatevole” che è oscillato dai 12 ai 15 centesimi al chilo. L’emergenza sanitaria non ha fatto che amplificare una stortura di mercato che esiste da molti anni. I commercianti a gennaio e febbraio stoccano il prodotto invernale per soddisfare la richiesta di marzo in attesa della nuova produzione che arriva a aprile. Purtroppo quest’anno, i loro frigoriferi sono ancora pieni. Il coronavirus non fa che peggiorare il fenomeno speculativo, con i canali Horeca chiusi, le esportazioni ridotte e i consumi dimezzati».
Solitamente per i produttori il mese di aprile è quello che permette di coprire le spese e iniziare a guadagnare. «Piuttosto che svenderlo preferiamo regalarlo», precisa Boscolo Palo, «abbiamo chiamato la Croce Rossa per ritirarne alcune pedane da consegnare alle famiglie in difficoltà. Dopo questo periodo di emergenza è necessario pensare a un cambio culturale e operativo per aspirare a un giusto riconoscimento del valore sul mercato del radicchio di Chioggia in cui dovrebbero essere considerati due aspetti: l’aggregazione, che nella nostra provincia è ferma al 30%, e la produzione a marchio. Questo ci aiuterebbe a differenziare il prodotto e a garantire al consumatore di mangiare il vero radicchio di Chioggia, prodotto da seme autoctono».
Fonte: La Nuova Venezia